Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 15487 - pubb. 12/07/2016

Per ravvisarsi concorrenza sleale il prodotto imitato deve avere i caratteri di novità e capacità distintiva

Tribunale Torino, 01 Aprile 2016. Est. Di Capua.


Concorrenza sleale – Presupposti e loro verifica

Concorrenza sleale – Risarcimento del danno – Retroversione degli utili – Necessità di apposita domanda giudiziale – Prova del danno – Vanificazione degli investimenti pubblicitari – Natura di danno emergente – Esclusione



L’art. 2598, n. 1), c.c., qualifica come atti di concorrenza sleale una serie di condotte accomunate dalla potenzialità confusoria con i prodotti e le attività di un concorrente, tra cui l’imitazione servile dei prodotti di un concorrente, ossia l’imitazione pedissequa dell’altrui prodotto.
Costituisce imitazione servile confusoria la ripresa delle caratteristiche estetiche dotate di efficacia individualizzante (e quindi idonee a ricollegare un certo prodotto a una determinata impresa), in modo da indurre il consumatore a ritenere erroneamente che il prodotto imitante provenga dalla stessa fonte produttiva di quello imitato. Va esclusa però l’imitazione servile quando la ripetizione dei connotati formali si limiti a quei profili resi necessari dalle caratteristiche funzionali e necessitate del prodotto, in quanto il divieto di imitazione servile attiene ai caratteri non essenziali, non funzionali, capricciosi o arbitrari e per tale motivo individualizzanti, con conseguente onere di differenziazione da parte del concorrente.
Occorre altresì che sia dimostrata la “capacità distintiva”, ossia l’attitudine a connotare il prodotto come proveniente da quello specifico imprenditore  in modo che il consumatore mediamente informato sia in grado di ricollegare quelle particolari caratteristiche del prodotto all’azienda che lo produce e commercializza, verificando se il medesimo prodotto, originale e diverso, riesce ad imprimersi nella mente del consumatore  come segno distintivo o marchio di fatto di una determinata impresa che lo produce. La capacità distintiva di un prodotto deve sempre essere analizzata rispetto al target di riferimento.
La verifica dei presupposti della violazione imitativa confusoria va condotta con riferimento al momento storico in cui vengono immessi sul mercato i prodotti “imitati”; la prova può essere fornita anche in via indiziaria e presuntiva. [Nella fattispecie, il giudice valutava come prove della capacità distintiva del prodotto: un massiccio volume di vendite, una capillare penetrazione del mercato e massicce campagne pubblicitarie sui mezzi di comunicazione di massa]. (Chiara Bosi) (riproduzione riservata)

Il danno da contraffazione deve essere liquidato secondo i criteri di cui all’art. 125 c.p.i. La richiesta di liquidazione secondo lo speciale criterio della c.d. “retroversione degli utili” previsto dall’art. 125, 3° comma, c.p.i. dev’essere oggetto di  specifica domanda.
L’accertamento della contraffazione non consente di presumere l’esistenza di un correlativo danno: è onere della parte danneggiata circostanziare in modo adeguato il danno subito con l’indicazione di tutti gli elementi utili per collegare il calo di fatturato con  l’altrui comportamento illecito.
Il fatto di avere sostenuto determinati investimenti pubblicitari non legittima l’impresa che ha subito un atto di contraffazione a pretenderne la restituzione (neppure in forma percentuale), in assenza di prove in ordine ad un calo delle vendite.
La parziale vanificazione degli investimenti pubblicitari non costituisce “danno emergente”, ma è uno degli elementi che può contribuire a identificare la misura del lucro cessante dovuta al calo delle vendite. (Chiara Bosi) (riproduzione riservata)


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